sabato 7 maggio 2011

Il giudice: «Sul lago di Garda la camorra lava i soldi sporchi»

C'è Francesco Peluso, 56 anni, vissuto a Castelnuovo del Garda, condannato a due anni di reclusione per aver favorito la latitanza di Vincenzo Pernice, un boss dell'Alleanza di Secondigliano. C'è Ciro Cardo, 55 anni, cognato di Pernice e residente a Peschiera del Garda ma ora in carcere perchè condannato a sei anni a Verona per usura ed esercizio abusivo del credito. Il giorno della cattura di Pernice, eseguito dagli agenti della Dia, gli aveva fatto visita a bordo della sua Porsche. C'è anche Salvatore Longo, 37 anni, latitante, altro cognato di Pernice e condannato a Verona a 8 anni e sei mesi per usura. Era lui che manteneva i contatti con il boss via telefono più volte intercettato dagli uomini della Dia.

Tutti questi nomi appaiono nella motivazione della sentenza di condanna contro Francesco Peluso e il figlio Renato, condannati a due anni di reclusione per aver agevolato la latitante di un boss della camorra. I fatti risalgono al gennaio 2005. La decisione del tribunale di Venezia rappresenta uno straordinario documento che «certifica» la presenza della camorra sul nostro territorio e nel suo tessuto imprenditorialeI due Peluso sono stati condannati a due anni di reclusione perche «in concorso tra loro» e con l'obiettivo «di agevolare l'attività delle associazioni di stampo mafioso», riporta il capo d'imputazione, aiutavano il latitante Vincenzo Pernice a sfuggire agli artigli di inquirenti e procura antimafia di Venezia. Il Pernice viene descritto nella sentenza come appartenente all'Alleanza di Secondigliano, noto clan di camorra. Il boss era sfuggito ad una maxi operazione della procura di Napoli del 5 luglio 2004 e fu arrestato a Portogruaro il 15 gennaio 2005 dopo 6 mesi di latitanza. È, però, nella lettura della sentenza che emergono gli inquietanti legami della camorra con la nostra provincia e, in particolare, con il lago di Garda.

CARDO e PERNICE. Il giorno dell'arresto del latitante, Ciro Cardo è stato visto fuori dalla casa di Portogruaro di proprietà dei Peluso dove si era nascosto il Pernice. È il 15 gennaio 2005. Il Cardo si allontana poco prima del blitz degli agenti della Dia a bordo di una Porsche dove si trova un'altra persona. Pochi minuti e il boss finisce in manette mentre Francesco e Renato Peluso vengono denunciati per aver agevolato la latitanza di un camorrista con l'accusa di favoreggiamento.

PERNICE e PELUSO. I giudici segnalano «una certa contiguità territoriale» tra Francesco Peluso, residente all'epoca a Castelnuovo del Garda e il Pernice. La moglie del latitante, Maria Rosaria Cardo, d'altro canto, abitava a Sirmione. E il cognato Ciro Cardo abitava a Peschiera. Che Pernice frequentasse la zona del lago di Garda lo stanno a testimonare anche le visite alle quali si è sottoposto anche da latitante nella casa di cura Pederzoli di Peschiera, una addirittura il 14 gennaio 2005 il giorno prima della sua cattura, svolta sotto falso nome. Francesco Peluso poi partì da Castelnuovo per partecipare al funerale di Gennaro Licciardi detto la «scimmia» e considerato il capo clan di quella famiglia di camorra.

GLI INTERESSI DI PERNICE. Il latitante, scrivono ancora i giudici veneziani, «aveva interessi commerciali che lo portavano con una certa frequenza nella zona del lago di Garda». L'attività di Pernice? La vendita di capi d'abbigliamento soprattutto in pelle. Nè più nè meno che la stessa professione di Ciro Cardo. Lo stesso commercio con il quale l'imprenditore napoletano, residente a Peschiera, è finito nella morsa della procura di Verona e della Dia di Padova, fino alla condanna a sei anni di reclusione. Tutte le vittime della sua attività di credito, ritenuta abusiva dal tribunale di Verona, vendevano i capi d'abbigliamento ed erano costretti a rivolgersi a Cardo per rifonrirsi della merce, proveniente dal suo magazzino di Peschiera. Ma, soprattutto anche per chiedere prestiti che, per il tribunale in un caso, il cinquantacinquenne avrebbe elargito con tassi usurari.
Nella veste di «magliaro», scrivono i giudici in un passaggio chiave della sentenza contro i Peluso, «è stato indagato il Pernice che, in ipotesi accusatoria, attraverso l'attività d'imprenditore avrebbe consentito il riciclaggio, la ripulitura e l'incremento di somme di danaro provento di traffici illeciti».
A riprova che la zona del lago di Garda rappresentava una «lavanderia» dei soldi sporchi provenienti dalla camorra, è spuntata anche una srl che operava nella zona del lago di Garda ed aveva come principale obiettivo l'attività di vendita di vestiti. I nomi dei soci parlano da soli: Vincenzo Pernice, Ciro Cardo e Pietro Licciardi.

fonte: Giampaolo Chavan, l'Arena

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