lunedì 6 dicembre 2010

La riforma Gelimini vista da un universitario Gardesano

Molte sono le facili critiche basate sulla persona Gelmini che si leggono, facili sarebbero ancor di più per noi Gardesani che conosciamo le sue burrascose avventure scolastiche e i suoi primi timidi passi sull’agone politico, ma questa riforma è profondamente sbagliata e dannosa nel merito, pur contendo qualche traccia di positività che la ministra sbandiera ai quattro venti. Faccio una premessa: due anni fa, appena insediata, la Gelmini ha modificato la composizione delle commissioni dei concorsi eliminando associati e ricercatori, perché “ricattabili” dagli ordinari. Quindi ora le commissioni sono composte da soli “ricattatori”, i temutissimi baroni. Le maggiori criticità della Riforma, da non confondere con i profondi e dannosissimi tagli presenti nei vari documenti di indirizzo e pianificazione economica, si riscontrano nella riorganizzazione della governance dell’Università e la modifica del ruolo di ricercatore. Ora l’Università è governata da due organi paritari tra loro: il Consiglio d’Amministrazione e il Senato Accademico, il primo con competenze economiche-amministrative, il secondo si occupa principalmente di didattica e ricerca. La riforma sposta decisamente i poteri dal Senato al CdA, creando una sproporzione di poteri. Le scelte dei vari Atenei saranno quindi guidate principalmente da motivazioni di natura economica. C’è il rischio serio che corsi economicamente svantaggiosi vengano chiusi: Chimica, Fisica, Biologia, Biotecnoligie. Corsi di laurea strategici per lo sviluppo economico e tecnologico del Paese che rischiano di sparire per mere questioni di bilancio.
Il CdA, ora costituito da personale esterno, dovrà aprirsi ad enti esterni, non meglio specificati, da un minimo del 30% ad un massimo del 40% dei suoi componenti. Nessuno discute che, come sostiene il ministro, gli Enti Locali, la Confindustria e altre istituzione potrebbero dare un contributo positivo al governo e all’indirizzo degli Atenei, ma chi dovrebbero essere questi privati non è specificato nella legge. Perché la presenza dei privati è rischiosa? Se, ad esempio, una casa farmaceutica entrasse nel CdA di un Ateneo, avrebbe interessi a spingere per una ricerca su farmaci per malattie a grande diffusione, quindi con un ampio numero di potenziali clienti, a scapito della ricerca su malattie gravi e molto rare. La ricerca deve essere libera da condizionamenti di natura politico-ideologica, che rischiano di entrare con gli enti-locali.

Altro provvedimento che ha effetti sulla didattica è l’eliminazione delle Facoltà i cui compiti andrebbero trasferiti ai Dipartimenti. Questi ultimi ora si occupano solo di ricerca, mentre le prime di didattica. Inoltre le Facoltà sono molte meno dei Dipartimenti, verrebbe meno, quindi, la necessaria funzione di coordinamento tra i Dipartimenti e raccordo con l’Amministrazione centrale svolto dalle Facoltà. Inoltre si creerebbe confusione tra didattica e ricerca che viaggiano su binari diversi, con necessità diverse. Giusto è dare maggiore libertà ai Dipartimenti, ma ciò è possibile già a legislazione vigente ed è realtà già in molte Facoltà di svariati Atenei.

Come già detto prima, oltre al problema dell’organizzazione degli Atenei, assai dannoso è il cambiamento del ruolo del ricercatore. Ora il ricercatore è assunto a tempo indeterminato dopo un periodo di “prova” di qualche anno. La nuovo figura diventerebbe a tempo determinato con contratto di tre anni rinnovabile una sola volta. Questo sistema, come dice il ministro, è utilizzato nelle Università Statunitensi, ma la Gelmini si dimentica di dire che negli USA in aggiunta viene usato il tenure-trak, cioè un ricercatore viene assunto a tempo determinato solo se l’Università ha già i fondi per assumerlo come docente alla fine dei sei anni. Senza questa pratica, come previsto dal ddl, alla fine dei sei anni l’Ateneo difficilmente avrà i soldi per assumere il ricercatore come associato, lo lascerà a piedi ed assumerà un altro ricercatore a tempo determinato. Si introduce quindi una fortissimo livello di precarizzazione che andrebbe ad intensificare il già grave problema della fuga dei cervelli. In Italia, infatti, sia avrebbe una prospettiva bassissima di posto fisso solo verso i 40 anni. Inoltre, con un continuo ricambio del personale docente, questo non avrà mai la qualità e l’esperienza necessaria per un’Università di qualità, perché, per quanto necessaria, l’entusiasmo e la genialità dei giovani non è sufficiente. C’è da aggiungere che il ruolo di ricercatore disegnato dalla riforma lo trasforma in un non-ricercatore, infatti raddoppiano i carichi didattici (cioè le ore di insegnamento da fare), riducendo drasticamente la possibilità di dedicarsi alla ricerca. Se si aggiunge che vengono aumentati pure i carichi didattici di associati e ordinari, si capisce come le Università vengano trasformate in dei licei avanzati, invece che in ambienti dove il sapere si crea e trasmette.

Questi due punti sono, per me, i maggiori difetti della “contro-riforma”, essere critici a questo progetto non vuol dire essere conservatori, il nostro sistema universitario necessita di profondi cambiamenti, di una riforma radicale. Ci sono strutture ridondanti, sedi universitarie che non rispondono ad alcuna logica se non premiare l’ambizione di amministrazioni locali, ci sono corsi di laurea che andrebbero razionalizzati e andrebbe inserito il merito come parametro di valutazione per il corpo docente e le strutture. Il sistema di valutazione nazionale è bloccato da anni, non è stato mai reso efficace, perché il ministro non si impegna in quella direzione invece che fare riforme ciclopiche?

P.S. ricordiamo al ministro che sono due anni che ha chiusa la SISSA, la scuola post-universitaria per diventare docenti delle scuole medie superiori ed inferiori, ma non ha ancora comunicato cosa le sostituirà. Sono due anni che non formiamo docenti:  una grande riforma del sistema formativo parte dalle persone che poi effettivamente si siederanno sui banchi di scuola. Un’Università di qualità necessita prima di tutto scuole medie di altrettanta alta qualità.

Stefano Terzi, circolo pd Desenzano

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